Storia – Castelseprio

Castelseprio sorse agli inizi del IV sec. d.C., a seguito delle invasione delle popolazioni barbariche (nel III secolo queste ultime avevano incominciato a varcare pesantemente i confini centro europei dell’Impero romano tanto che, nel 269, gli Alamanni erano giunti fino a Milano) come luogo militare posto lungo la via Como-Novaria a difesa dei confini (Iimes) al di qua delle Alpi. A questo periodo risalgono le tre torri ancora visibili, a livello delle fondamenta, sul pianoro del castrum.

Durante il regno dell’ostrogoto Teodorico furono costruite le mura difensive, che rinchiusero tutto il pianalto e si allungarono verso il fondo valle, costituendo il baluardo detto oggi Torba, e inoltre la casa-torre, la basilica di S. Giovanni Evangelista e il Battistero di S. Giovanni Battista.

In epoca longobarda (VI-VIII sec. d.C.), il castrum divenne il centro di un territorio molto vasto. A questo periodo risalgono alcuni ampliamenti della chiesa di S. Giovanni e molte case di abitazione nel castrum. Alla caduta del regno longobardo, alla fine dell’VIII sec., passò sotto la dominazione dei Franchi di Carlo Magno diventando centro della Contea del Seprio, costituitasi proprio in età carolingia.

La storia dell’antico insediamento, quindi, so svolge dal mondo tardo-antico alla fina dell’età comunale (XIII secolo) passando attraverso la dominazione dei Goti e le guerre goto-bizantine, il dominio longobardo (VI-VIII secolo) e l’età carolingi (fine VIII secolo…).

La fortificazione venne distrutta dopo anni di tentativi nella notte del 28 marzo 1287, qualche giorno dopo la Fiera dell’Annunziata, a conclusione della lotta per la conquista della Signoria di Milano tra le famiglie Della Torre (sconfitta) e la famiglia Visconti (vincente): vennero rasi al suolo gli edifici militari e civili. L’arcivescovo Ottone Visconti decretò che mai più si ricostruisse e si abitasse nell’antica roccaforte. Il divieto, che sotto forma di giuramento veniva pronunciato dal capitano e poi dal vicario del Seprio fino al 1786, quando fu soppresso dall’Imperatore austriaco Giuseppe II, fu ampiamente rispettato.

Dalla distruzione vennero risparmiate solo le chiese con i loro edifici di servizio (case canonicali, ecc…) i cui resti sono visibili all’interno dell’attuale zona archeologica. Dopo di allora il luogo non fu più abitato se non dai religiosi. Fu abbandonato anche da questi ultimi alla fine del ‘500.

 

La Preistoria

A favore di una frequentazione preistorica del luogo divenuto poi vicus Severum stanno alcuni resti ceramici, provenienti sia dal pianoro del castrum, sia dalle vicinanze di Santa Maria foris portas (dove furono trovate tracce di una necropoli della prima Età del Ferro), attribuibili all’età gallo-insubre e alla prima età del bronzo se non allo stesso tardo neolitico.

La posizione particolare del colle su cui sorse il castrum castelsepriese – posto sul bordo occidentale della valle Olona e di fronte ad un sito conosciuto come Sgarlasc che dovette essere oggetto d’interessi insediativi già forse dalla pre o protostoria – è probabile lo rendesse un punto di riferimento importante: non è da escludere che il pianoro, abbondantemente protetto dalla natura stessa, sia stato, per la popolazione dei dintorni, un luogo dove radunarsi in caso di pericolo, o per effettuare scambi, feste sacrali ed altre occasioni di convivio. La mancanza di copiose tracce preistoriche potrebbe dipendere dall’opera dell’uomo che, operando negli ottocento anni di vita del castrum e anche dopo, ne avrebbe alterato la situazione stratigrafica.

 

Il periodo romano

Anche se non vi sono prove certe, è possibile pensare che Sibrium, in epoca antecedente il III secolo, fosse sede, sia pure saltuaria, di qualche guarnigione militare, stabilitasi poco lontano da un probabile modesto aggregato di capanne. Nella prima metà del III secolo l’Impero Romano dava i primi segni di instabilità: da un lato i barbari esercitavano sempre maggiori pressioni alle frontiere e dall’altro, le rivolte militari, il malgoverno imperiale e le ambizioni personali ne minavano la struttura dall’interno. Con Aureliano ed i suoi immediati successori, lo statu quo militare venne ristabilito almeno nella Valle Padana.

La prima necessità del comando imperiale fu allora quella di sbarrare la via per Roma e, quindi, gli accessi in Italia, ai barbari e ad eventuali eserciti ribelli: ai piedi delle Alpi vennero create le cosiddette Clausurae Augustanae (un sistema di fortificazioni aventi la funzione di proteggere i confini settentrionali d’Italia) e per tutta la pianura, lungo una fitta rete di strade militari atte a permettere i più tempestivi spostamenti di forze, furono fatti sorgere praesidia, turres speculatoriae, stationes. E’ proprio nell’ottica della vasta opera difensiva adottata prima da Aureliano e poi da Dioclezioano (III secolo d.C.) che potrebbe aver avuto origine a Castelseprio, accanto ud un più antico vicus, un Castellum di tipo permanente, designato verosimilmente con il nome Sèverum sorto qui a causa della sua posizione geografica e strategica: eretto su il pianoro di uno sperone tufaceo, scosceso per tre lati ed unito solo dal quarto al retrostante ciglio occidentale della valle del fiume Olona, esso dominava, il corso del fiume, e, da lontano, le ultime propaggini delle prealpi varesine. Questo primocastrum romano poteva consistere in una fortificazione leggera costituita da un ampio spazio cintato con una semplice palizzata, da cui si poteva dominare il declivio, sistematicamente tenuto spoglio dalla vegetazione. E’ inoltre possibile sospettare che le difese in corrispondenza del punto di saldamento del pianoro al retrostante ciglio fossero affidate ad un robusto vallum (fossa e terrapieno) mentre gli alloggi per la truppa qui stanziata e i magazzini, costituiti da baracche in legno, occupavano tutto il territorio disponibile.

Il castrum Sèverum doveva essere in rapporto con Milano, sede della corte augustea sotto Diocleziano (284-305) grazie ad un sistema di comunicazione visivo. Nelle notti e nelle giornate limpide le segnalazioni, a fumo o a fuoco, fatte da Sèverum avrebbero potuto essere direttamente visibili da Mediolanum (Milano), e viceversa. A sua volta, Sèverum si trovava in continuo analogo contatto con la circostante rete di opere speculatoriae (ad esempio la torre di Rodero) verso nord. In questo modo Sèverum, o Sibrium, dovette diventare nel III, IV secolo il centro dello sbarramento a nord e nord-ovest di Mediolanum in quanto era situato al punto di incrocio della via verso il Ceneri con l’itinerario che andava da Brixia (Brescia) a Bergomum (Bergamo) a Comum (Como) a Novaria (Novara), itinerario destinato a spostare, lungo i contrafforti prealpini, i più opportuni contingenti di truppa. A questo periodo potrebbe forse risalire anche la nascita di quello che in seguito diventerà il borgo. Nel giro di qualche tempo dalla sua nascita la postazione presso Sibrium andò assumendo una sempre maggiore importanza, fino a diventare un vero e proprio castrum, difeso da isolate torri in muratura (oggi ancora visibili anche se solo allo stato di fondamenta) poi forse raccordate da vere e proprie mura.

Nel V secolo, a causa dell’acutizzarsi delle apparizioni barbariche in Italia, è ipotizzabile che nella zona fra Lario e Verbano venisse fatto nascere un particolare distretto strategico – militare e che questo dovette essere incentrato sul castrum esistente in Valle Olona. Anche la Chiesa stessa, che anche fuori dai grossi abitati luogo di sede episcopale stava ormai organizzandosi creando particolari punti di riferimento di cui uno dovette trovarsi proprio nel castrum della media valle Olona, ponendovi alla fine, forse proprio dove preesisteva un oratorio castrense, un centro battesimale rurale. Il battistero di Castel Seprio venne quindi edificato nel V secolo, lo testimoniano alcuni vetri liturgici qui ritrovati risalenti al periodo. Non è però certo ad opera di chi questo venne costruito, se per iniziativa statale da parte dei Goti insediatosi a Castel Seprio sul finire del V secolo o per iniziativa ecclesiastica.

Se furono i Goti ad impiantare il fonte battesimale, essendo questi ariani è probabile che non nascesse la pieve di Castelseprio ( di cui si hanno notizie certe nel X secolo) se non successivamente dopo il passaggio al clero niceno avvenuto in età bizantina, oppure in età longobardo-teodolindiana quando la dedica della basilica a San Giovanni Evangelista potrebbe avere avuto significato esaugurale. Se, invece, il battistero sorse per iniziativa ecclesiastica, cosa non impossibile anche in un castrum detenuto dai Goti i quali dimostrarono sempre un gran rispetto per le confessioni diverse dalla propria, è probabile che la pieve nascesse subito.

 

I Goti

Morendo, nel 395, Teodosio aveva scisso l’impero romano in due grandi unità: Oriente ed Occidente. Nel 476 l’Erulo Odoacre, depose l’ultimo imperatore d’Occidente, Romolo Augustolo e diede origine ad un effimero stato romano – barbarico tollerato da Bisanzio (capitale dell’Impero Romano d’Oriente): il Regno d’Italia. Quattordici anni più tardi, i Goti di Teodorico si impossessarono del territorio e ne decretarono la fine.

Crollato l’Impero Romano d’Occidente, sul finire del V secolo il Castrum dovette passare in mano ai Goti di Teodorico, i quali ne potenziarono la struttura difensiva.

Accurati scavi esplorativi condotti fra la torre e la cisterna vicini al San Giovanni, hanno dimostrato che entrambe queste strutture sono attribuibili all’età goto-teodoriciana, così come, sulla base di un uguale materiale edilizio di reimpiego, vi sono stati attribuiti anche un rafforzamento – ampliamento della cerchia muraria e la costruzione di un saliente ad essa esterno che scendeva in Valle Olona fino a imperniarsi sul torrione oggi detto di Torba.

E’ infatti in età gota che si incomicia a ricorrere allo spoglio sistematico di sepolcreti pagani (per tutto il IV e gli inizi del V secolo si assiste da parte degli imperatori ad un atteggiamento di deciso rifiuto al riutilizzo del materiale di spoglio e di protezione della sacralità delle necropoli mentre le disposizioni di età gota e del regno di Teodorico in particolare, evidenziano un atteggimento di segno opposto, che non solo autorizza ma ordina ufficialmente di riutilizzare per nuove costruzioni i blocchi degli antichi edifici e di profanare le tombe per recuperare, ad utilità dei vivi, l’oro e l’argento dei corredi funebri) per le nuove esigenze di riassetto dei centri abitati.

 

I Bizantini

Dopo la fine vittoriosa della guerra greco-gota avvenuta nel 553, per i Romani d’Oriente, o Bizantini, uno dei problemi più pressanti fu certamente quello di sbarrare la strada ad altre possibili invasioni barbariche provenienti da nord ad esempio da parte dei Franchi che già intromettendosi nel conflitto avevano occupato gran parte della Padania. Questa operazione riguardò anche l’area fra Lario e Verbano.

I capisaldi della vecchia catena militare romana di distretti prealpini di sbarramento erano in decadenza: alcune opere avevano mostrato durante la guerra che vide opposti i franchi ai bizantini punti deboli insospettabili, altre erano state distrutte, altre ancora erano in stato di abbandono.

Gli alti comandi di Bisanzio decisero perciò un piano di fortificazioni, che, pur sfruttando i punti base scelti in precedenza dai romani, avrebbe avuto il merito di soddisfare le attuali necessità strategiche. Il concetto dominante era sempre lo stesso: ammassare ai piedi delle Alpi truppe che, fresche, al momento opportuno, si sarebbero gettate sulle colonne barbariche affaticate dal viaggio.

Il castrum è credibile che, se anche fosse stato in precedenza ceduto dai Goti ai Franchi, finisse per cadere in possesso dei Bizantini che ne fecero oltre che centro di notevole importanza militare come era anche in precedenza, anche il fulcro di una civitas o distretto amministrativo di prima grandezza.

Questa funzione sarebbe denunciata delle pur tarde fonti bizantino – ravennati (il Geografo Guidone, Anonimo Ravennate) nelle quali il castrum viene chiamato Sibrie, o Sibrium alla latina, per elementare trascrizione grafica e fonetica corrente di Séverum.

Seprio è, infatti, la trasformazione avutasi nella parlata degli arimanni longobardi della forma Sibrie-Sibrium la quale a propria volta è l’adattamento aulico, ufficiale, dato in epoca bizantina ad una forma più antica.

L’antichissima radice sev-, probabilmente indoeuropea, ritrovabile in Sèverum, come è indicato in vari idronimi e toponimi, allude all’acqua in generale. Nel nostro caso potrebbe essere indicativa di una semplice sorgente, ulteriore caratteristica destinata a richiamare attenzione ed interesse per il luogo.

Sibrium si dimostrò essere, nuovamente, un pilastro difensivo di primordine dato che questa volta si trovava in prima linea contro i nemici ammassati al di là delle Alpi.

 

I Longobardi

Nel 568-69, all’irrompere dei Longobardi nella Val Padana, i Bizantini non avevano ancora saputo rimediare a tutte le conseguenze lasciate in Italia dal ventennale conflitto contro i Goti. A guidare fra Lario e Verbano la ripresa di una misera popolazione erano i pochi centri battesimali cristiani in quanto questi favorivano il rinascere di contatti, di scambi e di iniziative fra le comunità. I Longobardi guidati da Alboino arrivarono ad occupare Milano il 5 settembre del 569. Anche se non è da escludersi che Sibrium cadesse in mano longobarda quasi immediatamente, l’opinione diffusa è che il castrum fu conquistato o sotto il regno di Clefi, successore di Alboino, o successivamente nel 588, con l’attacco definitivo di Autari contro gli ultimi possedimenti bizantini ormai ridotti alla sola isola Comacina. Per meglio comprendere i cambiamenti che interessarono Sibrium-Seprio sotto i Longobardi è necessario chiarire preventivamente alcuni aspetti di questo popolo. Quando i longobardi giunsero in Italia il loro era il ‘regno di una gente’, il che significava regno senza territorio: un organismo politico a base etnica e personale, non territoriale.

L’intero popolo concepisce se stesso come un esercito, le gerarchie del quale riflettono simultaneamente l’ordine civile e sociale, ciascun membro è un guerriero, un arimanno, mentre il re è il capo dell’esercito, colui che detiene il supremo potere militare soltanto in tempo di guerra mentre in tempo di pace è la stirpe a prevalere e la sovranità è esercitata dall’assemblea popolare degli armati, cioè dall’organismo collettivo che elegge il re e gli conferisce il potere in occasione delle spedizioni armate. Tra il vertice e la base troviamo i duchi, gli sculdasci e i decani: questi sono ufficiali comandanti di gruppi armati e contemporaneamente titolari di poteri giudiziari e amministrativi rispetto alla schiera di guerrieri che si muove sotto la loro guida. Il rapporto fra re è duchi e tra duchi e singoli arimanni è temporaneo e volontario. Il contingente militare di base con il quale si formano i quadri dell’intero esercito è la fara, la struttura monocellulare della società longobarda, un aggregato familiare o plurifamiliare la cui coesione si fonda sul legame parentale. Gradualmente, man mano che l’occupazione delle nuove terre veniva espandendosi, i vari corpi militari, per ordine del re, si stanziarono con compiti di presidio in determinati ambiti strategici. In questo modo erano sorti i ducati e le judiciariae, queste ultime militarmente rette dallo stesso re il quale incaricava un semplice judex per le dispute civili. Il territorio longobardo era quindi suddiviso in distretti governati da Duchi legati al re da un semplice giuramento di fedeltà sulla parola. Strutture e schemi dei vecchi distretti municipali romani non ebbero alcun peso. Centri fino ad allora ricchi e famosi mantennero l’antico rango solo se situati in posizioni militarmente e strategicamente degne di nota. In ogni territorio il luogo militarmente più quotato divenne sede del dux o judex e centro di raduno arimannico. Con questo i Longobardi si chiusero in una casta a sé lasciando che la vita dei soggiogati, seppur ridotta alle più elementari espressioni, continuasse nei suoi aspetti tradizionali, ivi compreso il culto e l’amministrazione della giustizia.

L’immobilizzazione improvvisa del popolo nel nord Italia condusse a mutare innanzitutto il volto dell’istituzione al vertice: il sovrano (denominato Flavius) siede a capo di un personale di corte gerarchizzato, di un tribunale supremo, di uffici amministrativi ed impersona lo stato emanandone le leggi. E’ con la salita al potere di Autari che, per contrastare il potere dei singoli duchi, assoggettati alla corona più per volontà che per dovere, vengono insediati in molti territori suoi funzionari, i gastaldi, con dignità e poteri analoghi a quelli dei duchi e con il compito di rappresentare più direttamente gli interessi della corona.

Sotto Autari è probabile che prendesse forma definitiva fra Lario e Verbano un finis, cioè un territorio dai precisi confini e con un proprio volto amministrativo (in una carta risalente al 842 viene citato un Gastaldo, questo unico particolare potrebbe portare all’identificazione di una verosimile figura di judiciaria avuta in età longobarda e perdurata per qualche tempo in età carolingia), avente per proprio centro Castel Seprio. Sembra infatti lecito supporre che il Seprio, almeno agli inizi, fosse retto da un Duca e che venne declassato a semplice finis soltanto successivamente, o agli inizi del regno di Autari o durante il regno di Agilulfo. Nel primo caso, il declassamento si inserirebbe nell’ottica della politica regia di assicurare vasti possessi al patrimonio della Corona mettendo nel contempo fuori gioco tutti quei duchi che avevano ostacolato la sua ascesa al trono (583) o che, dopo la morte del padre Clefi (673), si erano troppo legati ai Bizantini. Nel secondo caso la causa sarebbe da imputarsi all’azione condotta da Agilulfo nel 591 contro chi nel conflitto longobardo contro i Franchi e i Bizantini dell’anno precedente si era schierato più o meno apertamente con essi oppure aveva dimostrato poche capacità decisionali come forse era avvenuto nel Seprio, finis del Regno troppo importante per essere lasciato in mano poco sicura.

Qualunque fosse la struttura organizzativa del nuovo territorio il suo confine a nord si estendeva a partire dal Sasso di Pino sopra Maccagno e, dopo aver toccato il Ceneri, pare raggiungesse il Ceresio poco ad est della Valsolda. Ad oriente, era il Lario a limitarne l’estensione in un primo tratto mentre in un secondo serviva allo scopo il corso del Seveso. Ad occidente, infine, la riva del Verbano e un tratto del Ticino costituivano i confini naturali con le judiciarie di Stationa (Angera) e di Plumbia (Pombia). Quest’estensione si modificò in due successivi momenti storici: nei primi anni dell’età carolingia un altro finis incentrato sull’antica Stationa (Angera) sottrasse a quello del Seprio un tratto della riva orientale del Verbano mentre, nel XII secolo, a seguito del trattato di Reggio del 1185 fra l’Imperatore Federico I e il Comune di Milano, il Seprio ebbe i suoi confini fissati lungo le rive del Tresa, le sponde del Verbano e del Ticino e una linea decorrente circa da Turbigo per Parabiago fino al Seveso e oltre e da qui ad occidente di Como verso il Ceresio. A Vico Seprio, dopo un periodo di confusione causato dall’arrivo dei Longobardi, la situazione si normalizzò. I Longobardi avevano infatti come propria abitudine quella di non mischiarsi con gli indigeni del luogo, creando propri insediamenti, propri luoghi di culto e propri cimiteri. Soltanto se una particolare zona rivestiva un rilevante ruolo strategico se ne impossessavano. Comunque, per Vico Seprio, il trovarsi all’interno di un’arimannia, induce a pensare che la coesistenza fra longobardi e locali divenisse con il tempo sempre più stretta. L’arimannia deve essere ritenuta il risultato della territorializzazione delle vecchie fare avvenuta sotto Autari sul finire del VI secolo. In cambio di un servizio attivo di guardia e di difesa per dati luoghi o territori, come poteva essere il castrum di Seprio ed i suoi immediati dintorni, la Corona Longobarda concesse, all’epoca di Autari, in uso ad ogni fara, un preciso insieme patrimoniale costituito da campi, pascoli, boschi, corsi d’acqua.

Nel 588 scoppiò la guerra che vide i Longobardi comandati dal re Autari opposti alla coalizione formata da Bizantini e Franchi. La lotta interessò i territori longobardi comprendenti gran parte dell’Istria e del Veneto, della Lombardia occidentale e parte del Piemonte e dell’Emilia odierni quando questi si ritrovarono stretti ed isolati fra gli Avari e gli Slavi, legati fra loro, ad oriente, i Bavari che premevano oltre il confine atesino, gli Alamanni nel tratto Retico delle Alpi ed, infine, i Burgundi nel restante tratto Lepontino-Graio-Pennino-Cozio. A meridione si trovavano i Bizantini. Il ruolo avuto dal Seprio nel conflitto fra Longobardi e Franco-Bizantini è documentato dall’opera di Gregorio Turonense e di Paolo Diacono, che però ne danno, per alcuni aspetti, descrizioni diverse. Dopo le prime sconfitte, nel 590, gli avversari di Autari svilupparono un nuovo piano d’attacco: partendo i Franchi da Coira e i Bizantini da Ravenna, gli alleati avrebbero puntato su Verona e Ticinum (Pavia). Le più salde unità arimanniche, così serrate in una gigantesca morsa, sarebbero state sconfitte. Ma non fu così: alcuni dei più fidati corpi militari tra cui quello del Seprio si opposero agli invasori e li costrinsero a desistere dall’intento. Della situazione nemica approfittò Autari. Chiuso in Ticinum, avviò trattative con i franchi di Audovaldo. La sua morte, improvvisa e dovuta forse ad un complotto, rischiò di compromettere il processo di pace, ma il suo successore Agilulfo, sposato dalla vedova di Autari, Teodolinda, lo portò a termine stipulando una tregua di dieci anni. Voltesi contro l’impero, le forze longobarde fedeli riuscirono ad arrestare i progressi militari bizantini e, nel 593, puniti i duchi traditori, Agilulfo passò alla controffensiva: si spinse a sud, ad est, a nord. Riuscì vincitore. Battuti, i Bizantini abbandonarono qualsiasi velleità di guerra. Nel 590, stipulata la pace sulla base di un tributo da versare annualmente ai Franchi, ed orientatasi la monarchia longobarda verso il cattolicesimo prima tricapitolino poi romano, lo stato arimannico potè godere di un lungo periodo di tranquillità che durò, quasi senza interruzioni, fino al 773, anno della definitiva calata Franca in Italia.

Conclusa la guerra con i Franchi, i Longobardi non si preoccuparono di mantenere funzionali le postazioni militari del Seprio tra cui quella di Sibrium le cui fortificazioni tardoromane, gote e bizantine dovevano essere già in cattivo stato a causa degli smottamenti verificatosi lungo i bordi del pianoro dovuti alla conformazione geologica del luogo. Castel Seprio non risentì tuttavia della perduta funzione militare e guadagnò importanza grazie al ruolo di porta obbligata per i traffici commerciali. I Bizantini, stanziati nel distretto del Lario, avevano bloccato per circa vent’anni l’arteria che, attraverso Chiavenna ed il lago di Como, univa un tempo le regioni transalpine alla pianura Padana. Questo era andato a favore della via che correva più ad ovest, passando attraverso il Seprio. Agli inizi del VII secolo, sia le greggi padane che annualmente salivano all’alpeggio, sia le popolazioni della Rezia, prive di cereali e foraggi, che scendevano verso la pianura, passavano per il Seprio. Sempre agli inizi del VII secolo, gruppi sempre più fitti di inglesi, da poco convertiti al cattolicesimo, passavano di qui durante i loro pellegrinaggi verso Roma.

Per tutto ciò, Seprium, divenuto Seprio (versione barbarizzata dell’antico toponimo), situata proprio all’estremità meridionale di questa nuova via di traffico, oltre che sede di judiciaria e, quindi, centro di periodico raduno arimannico, diventò in breve tempo una tappa fondamentale e luogo di mercato frequentatissimo. Ogni anno, il 25 marzo, si celebrava, secondo il rito orientale, la festa patronale di S. Maria e si teneva una grande fiera a cui conveniva una folla numerosissima. Nel VII secolo, per sopperire ai bisogni immediati di denaro liquido manifestatosi in tali occasioni, una locale zecca autorizzata incominciò a battere moneta aurea recante la dicitura Flavia Seprio. Nel VII ed VIII secolo, accanto al castrum, strettamente presidiato dagli arimanni, risorse un abitato civile su ciò che restava delle poche capanne abitate nel basso impero da civili poi utilizzate come materiale da costruzione dai Bizantini. Ai primi anni del secolo VIII è da ricondurre la nascita di un monastero benedettino femminile, più tardi noto come Santa Maria de Turba, in fondo al saliente che dal castrum scendeva a valle. Non più estirpata da anni la vegetazione doveva allora avere invaso del tutto i declivi del pianoro soprastante, imbrigliandone così il terreno e riducendone le frane. E questo, col creare l’illusione di una tornata sicurezza, aveva portato al sorgere, ancora in piena età longobarda, prima di una chiesetta, con probabile dedica a San Raffaele, poi sostituita da altra in fondo al saliente, proprio davanti al torrione; quindi l’installarsi del cenobio in quest’ultimo e in alcuni ambienti che si erano addossati al vicino tratto di muro.

Sotto Astolfo, salito al Trono nel 749 ebbe inizio la fine dello Stato Longobardo. Dopo aver modernizzato e rafforzato l’exercitus del Regno con il concedere l’entrata anche dei liberi non longobardi, questo Re si era lanciato in una politica espansionista ed autoritaria conquistando Ravenna, l’Esarcato e la Pentapoli bizantina, incorporando il Ducato indipendente di Spoleto, prendendo gli ultimi possessi di Bisanzio in centro Italia e revocando le donazioni fatte dai suoi predecessori ai Papi, giungendo fino a minacciare il Ducato stesso di Roma, nominalmente ancora dell’Impero d’Oriente ma in pratica tenuto dal Pontefice, il quale, nella persona di Stefano II, chiese infine aiuto ai Franchi retti da Pipino il Breve. E fu la guerra. Astolfo venne sconfitto e morì nel 756; Desiderio, il suo successore, riequilibrò la situazione politica generale ma non potè evitare un nuovo dissidio col Papa Adriano I, tanto che questi richiamò in Italia i Franchi di Carlo, il futuro Carlo Magno. Nel 774 Desiderio fu costretto alla resa in Pavia e Carlo divenne anche Re dei Longobardi, rispettandone apertamente strutture ed ordinamenti ma infiltrando in realtà fra loro, come funzionari o privati possessori di beni immobili, elementi a lui fedeli, destinati a prendere il sopravvento sui vinti. Nel 781 il Regno dei Longobardi cessò di esistere ufficialmente. Al suo posto venne creato da Carlo un Regno d’Italia affidato a suo figlio Pipino.

 

I Franchi

Con la prese del potere longobardo da porte di Carlo Magno i fines vennero affidati in genere ad un Comes, o Conte da cui derivano i Comitati, maggiori o minori, i secondi dei quali spesso furono alla base dei successivi ‘contadi rurali’ medioevali, come fu il caso dei Comitati di Seprio o di Stazona posti in subordine a quello maggiore di Milano. Agli ordini dei Conti, quali referenti per esse presso il Sovrano, passarono anche le arimannie con i relativi beni costitutivi. Quanto alle vecchie cariche longobarde rimasero in vita, con lievi modifiche nei compiti e solo per qualche decennio ancora, quella del Gastaldo, in subordine al Conte, e quella dello Sculdascio, sempre con funzioni di giudice minore (per Seprio si ha memoria di un Gastaldo, certo Roteno, che compare in un documento dell’844, evidentemente in subordine al Conte di Milano).

Con l’arrivo dei Franchi a Castel Seprio, nulla dovette in sostanza mutare dato che da vari documenti successivi risulta che il castrum continuò ad essere il centro di un grosso distretto in subordine a Milano che, retto ora da un Comes o Conte, ora da un Gastaldus, ora da un Judex, figura a metà tra un Conte ed un Gastaldo, ebbe nome di comitàtus, da cui Contado.

Sebbene continuò ad avere dei propri Conti, il Seprio dovette già sugli inizi dell’epoca carolingia, essere frazionato in zone di diversa spettanza per via delle sempre più estese concessioni immunitarie fatte dai diversi Imperatori ai loro fedeli, laici o ecclesiastici che fossero. Sugli inizi del X secolo il fenomeno aveva toccato proporzioni notevoli le quali si sarebbero ancor più accentuate negli anni a venire per il passare di diverse terre del comitatus al Vescovo di Como nel nord e, in altri settori, a quello di Milano. Quando poi, a cavallo del Mille, gli Arcivescovi milanesi, con l’approvazione imperiale, concessero a diversi loro sostenitori, i cosiddetti Capitanei S. Ambrosii, di infeudarsi le pievi della propria diocesi, il seprio raggiunse il colmo dello sbriciolamento. I Conti, da parte loro, esclusi con tali infeudazioni anche da quei pochi brandelli di territorio che erano ancora in loro possesso, dopo aver assunto a propria volta atribuzioni feudali, finirono per conservare autorità solo su Castel Seprio e gli immediati dintorni definendosi non più Conti del Seprio, ma di Castel Seprio. Come parte della pieve di San Giovanni Evangelista, questi dintorni sarebbero dovuti passare a certi Capitanei cui la pieve era toccata. Ma nella pratica le cose non poterono andare così: innanzitutto perché gran parte del cuore della stessa era accupata dalla vecchia locale arimannia su cui ora i Conti esercitavano probabilmente dei diritti feudali, e poi perché Vico Seprio doveva rientrare in una curtis, o complesso economico-agricolo autosufficiente, che prendeva nome da Castel Seprio e che era stato concesso dagli imperatori ai conti. Oltre che insediarsi a Castiglione, da dove poi trassero il nome, questi Capitanei della pieve di Castel Seprio non poterono dunque estendere la loro autorità che su quello che restava libero, inaugurando poi luogo per luogo, coi loro Valvassores, tanti piccoli dominati, o signorie.

Di riflesso al decadere della autorità dei propri Conti, Castel Seprio nel X secolo dovette perdere totalmente ogni parvenza di luogo fortificato.

Nella seconda metà del secolo XI i Conti iniziarono ad alternare la loro residenza tra Castel Seprio ed alcune loro altre proprietà, site nella zona di Tradate-Venegono. Abbandonato in tal modo a se stesso, il castrum – di cui essi risultavano pur sempre consegnatari per conto dell’Imperatore, e nel quale essi avevano forse poco prima eretto la chiesa di San Paolo – andò sempre più in rovina sino a ridursi, nel breve giro di pochi decenni, ad un qualcosa che dell’antica funzione conservava solo il nome.

 

Il XII Secolo

Dopo la nomina di Federico I di Svevia, detto il Barbarossa, ad imperatore di Germania, quest’ultimo si pose l’obiettivo di riconsolidare il potere nei confronti dell’influenza pontificia e delle nuove organizzazioni comunali che rivendicavano l’autonomia locale e rimettevano in discussione alcuni diritti di natura economica propri dell’imperatore ( le regalie). Milano aveva preteso di esercitare la giurisdizione sul comitato di Lecco, sulla Martesana, sul comitato del Seprio e sui territori di Como e di Lodi, esigendone le tasse sui beni immobili, il dazio fluviale e quello terrestre. Il Barbarossa, dopo la sua incoronazione a Pavia e a Roma del 1155, emanava un proclama in cui vietava a Milano di riscuotere contributi e di coniare moneta. Il comune lombardo non osservò le disposizione date dall’imperatore, il quale calò in Italia accompagnato dal Re di Boemia e dal Duca d’Austria. I milites sepriesi si allearono con il Barbarossa allo scopo di ottenere da quest’ultimo la restituzione dell’indipendenza persa nei confronti degli Arcivescovi milanesi. Milano viene sconfitta e distrutta per ordine del Barbarossa ( 25 marzo 1162). La politica feudale dell’imperatore non produsse gli effetti attesi dai suoi sostenitori sepriesi tanto che questi ultimi giurarono il 20 marzo 1168 fedeltà all’Arcivescovo Galdino, difensore delle libertà comunali e si misero a disposizione dei consoli milanesi.

Durante la sua quinta calata in Italia, Federico il Barbarossa venne sconfitto dalla Lega Lombarda a Legnano il 29 maggio 1176 e fu costretto a concedere l’autonomia alla città di Milano e a quelle settentrionali, riconoscendo giuridicamente il Comune cittadino il quale metterà in discussione gli antichi diritti e privilegi esercitati dai feudatari, dagli ecclesiastici e dai laici nelle campagne. Per quanto riguarda il Castrum di Castelseprio, questo doveva essere in condizioni disastrose se l’imperatore non osò mai mettervi piede nemmeno la notte precedente la giornata di Legano quando, pur trovandosi con le sue milizie in questa zona, preferì correre il rischio di sostare in un abitato senza difese come quello di Cairate. Passato il Contado sotto Milano a seguito del privilegio di Costanza (1183) e del trattato di Reggio (1185), Castel Seprio, ormai del tutto abbandonato dagli antichi Conti, tornò nuovamente al centro dell’attenzione. Anche se il nuovo assetto viario della zona aveva visto sia la ripresa della direttrice Milano – Varese ad oriente dell’Olona, sia l’aprirsi fra Varese e Gallarate di un collegamento lungo la valle dell’Arno, escludendo così Castel Seprio, quest’ultimo venne fatto sede amministrativa di un territorio esteso dal Tresa e dal Ceresio alla brughiera gallaratese e dalle sponde del Verbano alle rive del Seveso. L’antico castrum venne inoltre riattrezzato come pubblico fortilizio dal Comune di Milano tanto che lo stesso poté far fronte a ripetuti episodi bellici negli ultimi anni della propria esistenza. Le antiche difese vennero probabilmente restaurate, l’adiacente abitato, ingranditosi nel tempo, venne trasformato in antemurale delle stesse ed infine un complesso sistema di estesi fossati periferici fu scavato per potenziare le difese del complesso.

La ristrutturazione del castrum in guisa di rocca non dovette interessare ogni struttura ma soltanto la cerchia principale di mura con le relative torri. Il saliente non venne recuperato con ogni probabilità perché a valle si era già da tempo costituito il monastero benedettino di Santa Maria di Torba. Al contrario, le difese che davano ad occidente dovettero essere potenziate notevolmente per scongiurare il pericolo di un attacco che da qui sarebbe risultato fatale per la rocca. In quest’ottica potrebbe essere visto un potenziamento del fossato antistante il vecchio originario accesso al castrum e la costruzione delle pilae di un ponte ad impalcato ligneo che lo attraversava.Due altri lunghi fossati vennero poi scavati parallelamente e ad una certa distanza dal bordo della valle Olona. L’abitato di Castel Seprio non doveva avere in origine un preciso limite che venne imposto solo con la sua trasformazione in antemurale della rocca. Alcune fondazioni affioranti davanti al fossato ed alle pilae del ponte che portava alla porta della rocca, indica che almeno in questo punto il limite fu un muro in pietrame varcato da un passaggio. Il resto della cerchia, al contrario, potrebbe essere stato costituito dalle mura esterne delle costruzioni che vi si accostavano e da un bastione in terra che completava le eventuali lacune. Oltre all’apertura verso la rocca se ne dovevano avere almeno altre tre: una a sud verso Vico Seprio, una ad occidente, in direzione di Carnago ed una a settentrione, poco sotto Santa Maria foris portas, in direzione di Gornate.

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